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Belati filosofici

domenica 11 ottobre 2009 § 2

La pena, inconsapevole e incauta, dell’uomo contemporaneo sta nell’impossibilità di prescindere da sé stesso, o meglio dal suo ego. L’essere umano, nella pretesa di essere un uno ontologicamente autosufficiente non fa che moltiplicare l’errore d’essere ragione sufficiente alla propria e specifica autodeterminazione.
L’odierna molteplicità degli io è una moltitudine deietica ovina, una improbabile innumerevole vastità di piccole sfere merdose che urlano all’unisono la propria specificità, non accorgendosi del tutto unanime che circonda ognuna di esse.
La ricerca spasmodica è quella di una affermazione che, non passando più attraverso sistemi e non appoggiandosi più a metodi, non trova altra soluzione che quella della ridondanza dichiarativa.
Se un tempo l’uomo, cartesianamente, trovava nella sua capacità di pensare e pensarsi il fondamento della sua essenza, del suo essere, oggi a quella capacità si è sostituita la ripetizione infeconda quanto ebete di quell’essenza. Si è lentamente ribaltato l’assioma: dal «cogito ergo sum» al «sum ergo cogito».
Sono quindi penso. E il pensare moderno, il qualsiasi comune pensare contemporaneo, trova giustificazione nel nuovo valore dogmatico dell’essere. Io sono dunque io penso, e il mio pensare vale in virtù del mio essere, qualunque esso sia.
L’assioma cartesiano marca una gerarchia ben precisa che dalla res cogitans trapassa in quella extensa. Per quanto virtualmente d’ascendenza teologica (in senso largo, metafisico) si presume e postula un passaggio che solo in seconda istanza asserisce, determinandolo, l’essere. Io sono perché penso. E il mio essere è misura del mio pensiero, è suo figlio di diretta derivazione genetica.
Nel ribaltamento moderno, si perde lo sforzo conoscitivo, l’intuizione primaria che solo secondariamente determinava l’essere, giustificandolo in quanto prodotto del pensiero. Nel ribaltamento, il solo essere inferisce la possibilità di un pensiero, che diviene quindi secondario e che acquisita dall’affermazione (questa sì realmente dogmatica) un valore che non possiede.
Il pensiero, quindi, acquista valore in virtù d’una appartenenza materica che presume, nell’affermazione di sé stessa, una superiorità che viene riconosciuta da altri sulla base di una deriva democratica che vuole valido per tutti ciò che può esserlo per uno in una sorta di paternalistica concessione che non nutre differenze tra figli e figliastri.