Approssimazioni beckettiane

giovedì 5 febbraio 2009 § 0

Una cosa non significa solo se stessa ma vive anche in quanto simbolo di altro da sé. Simbolo parimenti interpretabile e quindi costantemente relativizzato.
La natura polisemica dei segni beckettiani rimanda allora a questa molteplicità non unificabile del mondo e dei rapporti che all’interno del mondo si danno.
Nel caos comunicativo – e quindi conoscitivo, ché la conoscenza passa attraverso la comunicazione – Beckett prende atto del fallimento e lo dispiega senza rappresentarlo.
Le rappresentazioni (la «messa in scena»), in Beckett, non sono cose che stanno al posto di altre cose, non vivono di simbologia o contiguità semantica ma sono quelle stesse cose che si concretizzano in uno spazio scenico preso a pretesto, uniformato e in quanto tale già compreso e comprensibile.
Il teatro non è un mondo (tantomeno il mondo): è solo un mezzo. Un luogo determinato e chiuso, all’interno del quale è possibile non tanto rappresentare bensí mostrare.
Un mezzo che, nel momento in cui si purifica per astrazione e si astrae per purificazione, comincia a significare. Significazione che, a sua volta, può riempirsi di interpretazioni – diverse e soggettive – in quanto il dato puro ha in sé la possibilità di essere infiniti altri, oltre se stesso, non essendo ancora un altro.
Nel suo teatro, Beckett agisce per sottrazione eliminando dai segni i significati per ottenere il significato (nell’arte figurativa, un procedimento del genere si ritrova in Mondrian) e puntare quindi all’essenza. La quale agisce tramite l’assenza dei mezzi e delle forme tradizionali. Tale assenza, però, non nega il teatro, l’idea di teatro, ma l’afferma come luogo privilegiato dove vedere le cose senza necessità di capirle o spiegarle (in un certo senso, è un teatro etimologicamente dell’origine , derivando «teatro» dal greco «thea-tron», luogo destinato agli spettacoli, da «thea», il guardare, vista). In Beckett ciò che resta è osservare gli scarti di una realtà che si è dimostrata per ciò che è sempre stata e che solo la contemporaneità ha saputo svelare: l’inafferrabilità caotica del principio primo, generatore anche biologico, di tutto lo sviluppo successivo.
In ciò si inscrive la non politicità del teatro beckettiano: la rinuncia a un programma d’azione che, attraverso la spiegazione e l’interpretazione dei segni, modifichi il mondo e l’uomo nel mondo, sistematizzando il caos del reale.

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