Nihil

martedì 12 giugno 2007 § 0

Non v’è discorso che tenga, una volta approdati al nulla.
Il nichilismo è una forma mentis indubbiamente affascinante ma anche controproducente. Chiarifica l’inutilità di qualsiasi esistenza, la mancanza assoluta e reale di senso. Il passo successivo è difficile da compiere, se non impossibile.
Un suicidio, per essere accettabile, dovrebbe essere coscienzioso e inevitabile. Non già mosso da un raptus, non influenzato da piú o meno lecite depressioni, non spinto da delusioni guaribili nel tempo.
Dovrebbe essere coscienzioso, e cioè riflettuto, pensato e analizzato. Compreso nelle sue parti, amato nella sua radicalità.
E dovrebbe essere inevitabile, non presentare vie di fuga, alternative, possibilità altre.
Un suicidio potrà essere tale – coscienzioso e inevitabile – solo a patto che si restringa il campo di azione, che la visuale si riduca a poche occorrenze ritenute fondamentali e inalienabili. L’impossibilità dell’atto vive nell’impossibilità delle realizzabilità delle sue stesse condizioni: il campo d’azione non potrà mai restringersi, la visuale mai ridursi. E questo perché l’essere umano è volgarmente un essere superficiale.
Il paradosso è nel fatto che l’uomo ha abdicato all’Uno per piegarsi al tutto. Non si abbraccerà mai una sola idea, non si vivrà mai per un solo motivo, non si dedicherà mai la propria esistenza all’inappellabilità di un credo unico.
La salvezza è nell’amplesso consolatorio e fintamente progressista al tutto, nel coltivare speranze basse di riuscita, nello scavarsi una nicchia esistenziale dove adagiarsi fino all’uscita di scena, sperando nell’eccesso e accontentandosi del minimo.


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