Partita doppia

venerdì 31 ottobre 2008 § 0

L’uomo vive costantemente nella tensione fra ciò che desidera e ciò che riesce ad ottenere.
Il risultato il piú delle volte non è un compromesso quanto un cedimento.
Si cede all’inevitabilità delle situazioni, dell’ostacolo insormontabile.
Credere in qualcosa vuol forse dire combattere per quel qualcosa, ma non sempre vuol dire obbedire.
In tal caso, nel caso di una indefessa volontà di obbedire, si rischierebbe solo una stupida quanto sterile coerenza, che urterebbe con una realtà posta a disconoscimento delle proprie convinzioni.
Spesso un’onorevole ritirata è piú augurabile di una battaglia senza scampo.


Proporzioni

giovedì 23 ottobre 2008 § 0

Libertà e responsabilità vivono di un rapporto inversamente proporzionale.
Un tempo, al minimo grado di libertà corrispondeva il massimo grado di responsabilità.
Oggi, al massimo grado di libertà corrisponde il minimo grado di responsabilità.
E quindi il piú delle volte una scelta si compie senza intenzione alcuna di assumersene tutte le conseguenze e con la balsamica consolazione del «poter tornare sui propri passi».
Per gli uomini [post]moderni, essere liberi vuol dire semplicemente esercitare il proprio diritto di revoca.


Ultim’ora

mercoledì 22 ottobre 2008 § 0

Tra i mali che ci affliggono c’è la certezza di sapere che mai si approderà ad un luogo di pace e riposo. Se «la verità non è possesso bensí ricerca», il destino ci obbliga a un terreno vagare fino all’ultima ora. Che giungerà nella consapevolezza unica di non essere nulla, di non contare nulla, di non avere nulla da chiedere.
Eppure è quest’ansia di sapere, che vive già del suo mortifero fallimento, a rendere l’esistere meno vano, a far sí che, se non si sveli un senso, si dia forse un senso a quel che resta quando tutto è già trascorso.


Ovvietà

martedì 21 ottobre 2008 § 0

Tra le ovvietà più amabili e consolatorie in dotazione all’uomo quella del «Tutto passa» ha un che di vagamente idiota.
Certo. Tutto passa, è sempre così. Tutto cambia, muta, si trasforma. Niente è per sempre.
Ma dal momento in cui tutto si manifesta al momento in cui tutto passa trascorre un certo lasso di tempo in cui la semplice consolazione del «passerà» non ha diritto di asilo.
Insomma, l’ovvietà non aiuta la traversata. Appunto come trovarsi in un battello in piena tempesta. Fra il porto di partenza e quello di arrivo c’è tutto un mare in cui vomitare l’anima.
Considerato che l’uomo è un essere che pensa al futuro ma vive al presente, sapere che esista un approdo felice non cambia le cose.


Labor limae

lunedì 20 ottobre 2008 § 0

L’arte ha a che fare con il sentimento solo nell’attimo dell’intuizione.
In seguito, è pura costruzione formale che implica conoscenza, lavoro e fatica.
Chi crede che una manifestazione artistica sia semplicemente espressione genuina di un sentimento, o è un demente o uno sfaticato.


Candela

§ 1

Una menzogna ha sempre un senso.
È la verità che ne è priva.


Burp!

sabato 18 ottobre 2008 § 0

La volgarità non conosce forme, solo intenzioni.
Un gesto, un’azione, un artefatto non è mai volgare in sé, in quanto oggetto o espressione.
È volgare in quanto nasconde un’intenzione, essa sí volgare, tesa alla provocazione di specifici e delimitati sentimenti.
La famosa carezza di Saddam Hussein al bambino americano, ostaggio durante la prima guerra del golfo, per esempio, è ben più volgare di un rutto a tavola.


Grammatica antroporelazionale

§ 0

Nei rapporti umani, da un punto di vista sintattico, nessun uomo è una principale, se non per se stesso e, di conseguenza, ridondante e autoreferenziale.
Ogni essere umano, in relazione agli altri, è una subordinata che può assumere grado diverso a seconda della disposizione nel testo altrui. Si può essere allora una secondaria di primo grado, nel caso si dipenda direttamente dalla principale, di secondo grado nel caso non si dipenda direttamente dalla principale ma da una prima subordinata, e così via. La peggiore è essere un inciso fra parentesi, eliminato il quale non muta né il senso né la correttezza dell’intero testo. L’ambizione di molti è di giungere all’indipendenza di un verbo impersonale.
Essere autosufficienti e non dipendenti da alcun legame con l’esterno. In un certo senso, equivarrebbe essere come Dio.
Ecco, un verbo impersonale è il Dio della grammatica.


Champagne

domenica 16 settembre 2007 § 0

Una persona ricca si riconosce dal numero di abitudini che può permettersi.


Bilancia

mercoledì 12 settembre 2007 § 0

Volentieri ciò che si cerca in un partner altro non è che la conferma della considerazione che si ha di se stessi.
Quando due persone si riconoscono vicendevolmente lo stesso grado di qualità si raggiunge la perfezione.
L’amore, in tal caso, non è che la misura della qualità del proprio io.


Muzik

lunedì 20 agosto 2007 § 0

Che la musica sia qualcosa di magico è esperienza alla portata di tutti. Il tentare di spiegare perché è opera immeritoria e pressoché inutile.
Per quanto illustri ricerche pongano l’accento sul legame esistente fra le frequenze dei suoni e l’impatto di queste sul sistema nervoso, non si riuscirà mai a comprendere del tutto perché una melodia, un passaggio armonico, un glissato al posto giusto, un cambio di tonalità procuri sensazioni cosí esclusive; e perché sia quel determinato particolare, e non altri, a causare quella determinata sensazione.
Al di là di comuni associazioni, di richiami mnemonici, la musica ha la capacità di creare sensazioni ex novo che nulla hanno a che fare con le esperienze pregresse. Una capacità creativa che trascende la comprensione e che, a conti fatti, nemmeno la contempla.
La musica è a tutti gli effetti una salvezza: un modo di modificare il mondo oppure di qualificarlo in un senso piuttosto che in un altro.
L’esistenza, trapassata nel filtro di un giro armonico, si autodefinisce in modo spesso contraddittorio con la realtà. Una divina finzione prende il posto della contingenza, dell’attualità. L’essere in un dato luogo, a un dato momento, perde di consistenza. Ciò che resta e cattura è tutto ciò che in quel preciso momento è assente eppure cosí vero da sembrare di esserci da sempre.


Io sono come Dio

domenica 19 agosto 2007 § 0

Inutile cercare un senso alle cose, ché le cose senso non hanno.
Proficuo invece dare un senso alle cose.
Esercitare la propria capacità creativa è l’unica possibilità che si ha di poter controllare le cose.


Benedetto in Croce, o anche Del perché e del per come

sabato 18 agosto 2007 § 0

Di tanto in tanto meglio sarebbe se non ci si chiedesse il perché delle cose, quanto il come.
La forma, spesso e volentieri, è anche il contenuto.
Comprendere il perché di un gesto, un atteggiamento, un fatto, un evento è cosa spesso complessa e articolata. E giusto sarebbe rimandare tale comprensione a giorni di piú lucida razionalizzazione.
Nell’immediato l’unica cosa che resta comprensibile non è tanto la causa prima, quanto la realizzazione ultima.
Partire da qui, analizzando l’evento nel modo in cui si è manifestato, chiarificherebbe in parte lo stato posteriore dell’evento stesso nonché della persona provocante l’evento.
In fondo, ciò che resta quando una qualsiasi cosa va a puttane è proprio il modo in cui è andata a puttane.
Per meglio intenderci: cercare di comprendere il perché qualcuno abbia commesso un torto nei confronti di qualcun altro è improduttivo. Produttivo è analizzare le modalità in cui il torto si è manifestato. Considerato che una spiegazione non arriverà mai – e se mai arrivasse sarebbe di parte, di una delle qualsiasi parti, e di per sé, quindi, partigiana – ciò che rimane da fare è verificare se le modalità abbiano almeno una parvenza di educata liceità.
Insomma, fra un vaffanculo e un vai a quel paese ne passa. Se la sostanza, si dirà, non cambia, un paese, lessicalmente parlando, non è mai un culo.


Not Found

martedì 14 agosto 2007 § 0

Non cercare te stesso.
Un giorno potresti trovarti e non piacerti.


No, tu no

domenica 29 luglio 2007 § 0

Il pregiudizio è la tomba di ogni umana possibilità.


Nihil

martedì 12 giugno 2007 § 0

Non v’è discorso che tenga, una volta approdati al nulla.
Il nichilismo è una forma mentis indubbiamente affascinante ma anche controproducente. Chiarifica l’inutilità di qualsiasi esistenza, la mancanza assoluta e reale di senso. Il passo successivo è difficile da compiere, se non impossibile.
Un suicidio, per essere accettabile, dovrebbe essere coscienzioso e inevitabile. Non già mosso da un raptus, non influenzato da piú o meno lecite depressioni, non spinto da delusioni guaribili nel tempo.
Dovrebbe essere coscienzioso, e cioè riflettuto, pensato e analizzato. Compreso nelle sue parti, amato nella sua radicalità.
E dovrebbe essere inevitabile, non presentare vie di fuga, alternative, possibilità altre.
Un suicidio potrà essere tale – coscienzioso e inevitabile – solo a patto che si restringa il campo di azione, che la visuale si riduca a poche occorrenze ritenute fondamentali e inalienabili. L’impossibilità dell’atto vive nell’impossibilità delle realizzabilità delle sue stesse condizioni: il campo d’azione non potrà mai restringersi, la visuale mai ridursi. E questo perché l’essere umano è volgarmente un essere superficiale.
Il paradosso è nel fatto che l’uomo ha abdicato all’Uno per piegarsi al tutto. Non si abbraccerà mai una sola idea, non si vivrà mai per un solo motivo, non si dedicherà mai la propria esistenza all’inappellabilità di un credo unico.
La salvezza è nell’amplesso consolatorio e fintamente progressista al tutto, nel coltivare speranze basse di riuscita, nello scavarsi una nicchia esistenziale dove adagiarsi fino all’uscita di scena, sperando nell’eccesso e accontentandosi del minimo.


Ego[t]ismo

lunedì 11 giugno 2007 § 0

Un minimo di comprensione e l’abbandono del proprio ego sarebbero cose auspicabili nei rapporti interpersonali.
La reiterata – ed abusata – espressione «sono fatto cosí» ha un che di accondiscendente arrendevolezza.
Un modo per non impelagarsi in quelle che potrebbero apparire situazioni irragionevoli e complesse e che, invece, non sono altro che un terreno comune di condivisione e crescita.
La rinuncia a mettersi in gioco appare a stento come un aristocratico disprezzo dell’altro, e assume piú i contorni di un terror vacui di fronte al timore del giudizio altrui. È la resa incondizionata di fronte alle inevitabili difficoltà di qualsiasi relazione che si nasconde dietro una richiesta di prona accettazione. Lasciare agli altri la facoltà di scegliere se amarci o odiarci tout court è molto piú semplice che complicarsi la vita con compromessi che hanno di certo piú dignità di quanto il senso comune non assegni loro.


Libertà?

domenica 10 giugno 2007 § 0

Ogni uomo, in linea di massima, è libero di scegliere: ciò che gli aggrada, ciò che gli piace, ciò che vuole. Ma ogni uomo è anche libero di scegliere ciò che non gli aggrada, non gli piace, non vuole. Per il semplice fatto che «gli va» di scegliere.
Le possibilità offerte sono molteplici, varie. Miriadi di occorrenze che non aspettano altro che qualcuno allunghi la mano e le afferri.
Ma la possibilità illimitata di scegliere tutto e subito porta in nuce un fondo di pochezza.
La libertà di poter scegliere tutto e subito conduce ad un appiattimento della scelta stessa. Nessuna responsabilità, nessun impegno, nessun dolore. Tutte le cose sono intercambiabili per il semplice fatto che sono tutte lí davanti.
Alla base di ogni scelta c’è la possibilità della revoca. Si può indossare un vestito sapendo di poterlo smettere quando si vuole. Si possono fumare sigarette sapendo di poterle cambiare quando si vuole. Si può scegliere un partner sapendo di poterlo sostituire quando si vuole.
Tutto l’impegno profuso in una scelta non è altro che apparenza, superficie. Si muove su un piano orizzontale e non verticale, per il semplice fatto che, a livello piú o meno consapevole, agisce la possibilità della revoca. Dal momento in cui «tutto può succedere», niente piú ha importanza che accada.
Tutto è suscettibile di cancellazione.
In questo modo viene meno la possibilità di stabilire differenze di valore fra le cose.
Essere liberi di scegliere tutto e subito vuol dire non esserlo affatto. Equivale ad abdicare alla responsabilità dell’impegno che qualsiasi scelta comporta. Sanare contraddizioni con il nastro adesivo.
La languida consolazione del «poter tornare sui propri passi» maschera la viltà del disimpegno con il nome Libertà.


Destiny

sabato 9 giugno 2007 § 0

La formazione del sé passa attraverso una serie di scelte, l’imboccare strade precise in momenti precisi. È in quei frangenti che l’individuo prende coscienza delle proprie possibilità e delle proprie capacità. Che si autodetermina in quanto persona. In quest’ottica, che si sia guidati da un destino piú o meno già scritto non cambia le cose.
Gli uomini non sapranno mai se ciò che fanno sia fatto per propria volontà o perché a scegliere sia stato il destino. In tal caso, non conta sapere. Quel che conta è credere in una libertà che può essere anche solo un’illusione.
Di fronte al dubbio della sorte, l’ignoranza è la piú liberatoria delle risposte.


Special Price

venerdì 8 giugno 2007 § 0

Spesso l’uomo sembra piú propenso a crogiolarsi nel ricordo nostalgico di una storia passata che tendere lo sguardo al futuro.
Sarà il piacere, vagamente masochista, che si prova nel sentirsi feriti e disillusi, come se la cosa portasse un surplus di fascino e interesse alla propria vita. Cosicché ci si sente ammantati da un’aura di fugace decadentismo, una propensione dell’anima ferma fra la vita e il rigor mortis.
Probabilmente, il tutto è dovuto ad un’assenza nel presente di prospettiva e fertile propositività. L’occasione mancata ¬– il passato certo e definito – viene caricata di aspettative a posteriori, come se quella fosse l’unica cosa che avrebbe potuto render felice e piacevole l’intera esistenza.
Sarà che spesso le cose non si vivono in pienezza, e, quando vengon meno, è quello scarto che le sublima a perfezione inattuata. Bisognerebbe fors’anche adeguarsi al pensiero che i rapporti umani sono passaggi da un’imperfezione all’altra e che la perfezione è qualcosa che non si trova ma si costruisce.
Purtroppo l’uomo è malato di pigrizia intellettuale e accidia sentimentale: costruire è faticoso, e richiede tempo.
Meglio, allora, pensare di aver perso un’occasione nel discount dell’esistenza.